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DRAMMATICO


Ree Dolly ha diciassette anni, è cresciuta troppo in fretta ed è alla disperata ricerca di suo padre, Jessup, che ha ipotecato la casa per pagarsi la cauzione ed uscire di prigione. Ree accudisce i due fratellini e la madre malata: se suo padre non si presenta in tribunale resterà, oltre che senza soldi, senza casa. Monti Ozark, Missouri, profonda America del Mid-West, povertà e un padre che entra ed esce dalla galera. Malgrado il suo aspetto esile e delicato, sulle spalle di Ree grava il peso di essere l’unica persona "adulta" e responsabile nella sua famiglia e l’assoluta necessità di ritrovare suo padre, per non perdere la casa ed evitare l’adozione dei fratellini che accudisce come una madre amorevole. Ree inizia a cercare il padre all’interno di una comunità che, protetta dai boschi e dalle montagne, è quasi interamente coinvolta nella produzione di cocaina. Per salvare casa e famiglia affronta violenza e omertà, mostrando la propria determinazione e una incrollabile forza di volontà.



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Quando suo figlio diciassettenne Jason si suicida, Alissa inizia ad indagare con sospetto sulla sua morte. Jason è stato coinvolto nell’omicidio di una spogliarellista dopo aver partecipato ad una festa tra amici, tra cui il ricco, viziato e spregiudicato Cody. Alissa dovrà lottare contro tutti e soprattutto contro la potente famiglia del ragazzo per vendicare l’innocenza di Jason.


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Anche i migliori agenti segreti si portano dietro il bagaglio di qualche precedente missione. E adesso Rachel Singer deve confrontarsi col suo. La storia ha inizio nel 1997, quando agli ex agenti segreti del Mossad Rachel e Stephan giunge una scioccante notizia che riguarda il loro ex collega David. Tutti e tre sono venerati da Israele per via di una missione segreta che li ha visti protagonisti nel 1965-1966, quando il trio riuscì a rintracciare il criminale di guerra nazista Dieter Vogel, il temuto Chirurgo di Birkenau, a Berlino Est. Mentre Rachel, nel corso della missione, si era trovata a combattere con sentimenti romantici, la rete attorno a Vogel era stata stretta utilizzando lei come esca. Il debito (The Debt) è un film a colori di genere drammatico, thriller della durata di 114 min. diretto da John Madden e interpretato da Helen Mirren, Tom Wilkinson, Ciarán Hinds, Romi Aboulafia, Tomer Ben David, Ohev Ben David, Jonathan Uziel, Eli Zohar, Irén Bordán, Jessica Chastain.
Prodotto nel 2010 in USA – uscita originale: 31 agosto 2011 (USA) – e distribuito in Italia da Universal Pictures il 16 settembre 2011.



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Risolti alcuni precedenti con la legge, l'intraprendente diciassettenne Maria Ramirez torna alle sue difficili origini nel Bronx per ricostruire la sua vita con niente se non il talento per la street dance ed un'ardente ambizione di rimettersi in gioco. Trova rifugio nel luogo che le dava la vitalità di un'adolescente - il REC center dove ha iniziato ad accendersi la sua passione per la danza, frequentando i duri corsi della mitica ballerina e coreografa Honey Daniels. L'unico modo per continuare a condurre una vita onesta è vivere con la mamma di Honey, Connie ed avere due lavori precari per arrivare a fine mese. Le movenze di Maria attirano lo sguardo di Brandon, un volontario del Rec Center, che le chiede di aiutarlo a trasformare un gruppo di ballerini con grande talento ma poca disciplina chiamati HD's. La bravura di Maria inoltre cattura l'attenzione del suo ex fidanzato Luis, il leader carismatico del premiato corpo di ballo 718, che spera di trascinarla con l'inganno nuovamente nel mondo della strada, dal quale lei sta tentando di fuggire. Fiutando l'opportunità di rifarsi una vita, Maria si impegna anima e corpo nella danza ed inizia ad allenare gli HDs per la gara televisiva "Battle Zone", il che vuol dire scontrarsi con i 718 e Luis. Così come prima di lei ha fatto Honey, Maria riscopre nuovamente l'emozione della danza, ed in essa ritrova se stessa e le sue radici.


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Un adolescente intelligente entra a far parte della squadra di wrestling della sua scuola come unico modo per riunire i membri sopravvissuti della sua famiglia, che si è divisa dopo la morte del padre, diventato una leggenda del wrestling del college, 10 anni fa.


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Un dramma oscuro sugli effetti dannosi un maniaco sessuale online sessuale ha su una famiglia. Clive Owen and Catherine Keener will play the parents of a 14-year-old girl who are stunned to discover she has been victimized by an adult who gained her trust posing as a teenager on a chat room. Clive Owen e Catherine Keener giocheranno i genitori di un 14-anno-vecchia ragazza che sono sbalordito nello scoprire che è stata vittima di un adulto che ha guadagnato la sua fiducia spacciandosi per un adolescente in una chat room.


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Cheyenne, ebreo, cinquantenne, ex rock star di musica goth, rossetto rosso e cerone bianco, conduce una vita più che benestante a Dublino. Trafitto da una noia che tende, talora, ad interpretare come leggera depressione. La sua è una vita da pensionato prima di aver raggiunto l’età della pensione. La morte del padre, con il quale aveva da tempo interrotto i rapporti, lo riporta a New York. Qui, attraverso la lettura di alcuni diari, mette a fuoco la vita del padre negli ultimi trent’anni. Anni dedicati a cercare ossessivamente un criminale nazista rifugiatosi negli Stati Uniti. Accompagnato da un’inesorabile lentezza e da nessuna dote da investigatore, Cheyenne decide, contro ogni logica, di proseguire le ricerche del padre e, dunque, di mettersi alla ricerca, attraverso gli Stati Uniti, di un novantenne tedesco probabilmente morto di vecchiaia.


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Arrestato all'aeroporto di Istanbul con due chili di hashish, il giovane americano Billy Hayes viene condannato prima a quattro anni e poi all'ergastolo e rinchiuso in un terribile carcere dal quale riesce a evadere. Ispirato a un fatto di cronaca (raccontato dallo stesso Hayes e William Hoffer nel libro Midnight Express), dopo un primo tempo in cui la sobrietà è pari all'efficacia, il film si trasforma in uno spettacolo sensazionale all'insegna di un effettistico sadomasochismo. Oscar alla sceneggiatura di Oliver Stone e alla musica di Giorgio Moroder.


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Samantha è costretta a prostituirsi per risolvere i problemi economici della sua famiglia. Quando viene arrestata rischia di perdere la custodia dei figli a meno che non riveli la lista dei suoi facoltosi clienti.
Ispirato a una storia vera, è valso a Jennifer Love Hewitt una nomination ai Golden Globe.



Cyril ha dodici anni, una bicicletta e un padre insensibile che non lo vuole più. ‘Parcheggiato' in un centro di accoglienza per l'infanzia e affidato alle cure dei suoi assistenti, Cyril non ci sta e ostinato ingaggia una battaglia personale contro il mondo e contro quel genitore immaturo che ha provato ‘a darlo via' insieme alla sua bicicletta. Durante l'ennesima fuga incontra e ‘sceglie' per sé Samantha, una parrucchiera dolce e sensibile che accetta di occuparsi di lui nel fine settimana. La convivenza non sarà facile, Cyril fa a botte con i coetanei, si fa reclutare da un bullo del quartiere, finisce nei guai con la legge e ferisce nel cuore e al braccio Samantha. Ma in sella alla bicicletta e a colpi di pedali Cyril (ri)troverà la strada di casa.
Dalla prima inquadratura il piccolo protagonista de Il ragazzo con la bicicletta infila quella precisa traiettoria che seguivano prima di lui l'adolescente di La promesse, la Rosetta del film omonimo, il padre falegname de Il figlio e ancora il giovane disorientato de L'Enfant. Dentro a una corsa possibile verso una soluzione che arriverà, i Dardenne rinnovano l'interesse per l'infanzia incompresa, che tiene testa e non si assoggetta al mondo degli adulti, fronteggiandolo con improvvise fughe e un linguaggio impudente. Di nuovo è la fragile pesantezza dell'essere, che condizionava (già) le azioni dei protagonisti precedenti, il centro del film. Dopo il tentativo di rinnovamento formale e prospettico del loro cinema (Il matrimonio di Lorna), i fratelli belgi ritrovano la cinetica e un personaggio che avanza negli spazi attraversati e nel proprio destino. Come nel Matrimonio di Lorna sarà l'irruzione di un improvviso atto d'amore a travolgere, fino ad annullare, l'indifferenza di un padre colpevole di abbandono e dello sbandamento emotivo del figlio.
Thomas Doret incarna con lirismo lo spirito gaio e selvaggio dei mistons di Truffaut, di cui riproduce i comportamenti anarchici e antiautoritari negli esterni e in mancanza di interni domestici e familiari adeguati. Cyril, figlio ripudiato con gli anni in tasca, resiste a muso duro al vuoto affettivo che lo circonda, pedalando dentro e attraverso la paura, intestardendosi nel silenzio o facendo il diavolo a quattro. Il reale per il fanciullo è sempre in agguato ma ad esso si oppone ‘aggrappandosi' e stringendosi forte a una figura femminile bella e raggiungibile come una mamma. Cécile de France, sopravvissuta allo tsunami di Clint Eastwood, è il volto e il corpo che Cyril vuole per sé, la figura materna che pretende e a cui si concede. La loro relazione procede per tentativi ed errori, come ogni processo di apprendimento, producendo una passeggiata a due ruote di grande forza espressiva e creativa. Una promenade che risana lo scarto dell'essere stati generati senza essere stati appropriatamente allevati, ma prima ancora desiderati. Samantha e il suo negozio di coiffeur diventano allora l'ancora di salvezza e il riscatto sociale per quel ‘ragazzo selvaggio', sempre fiero, sempre contro. Se come sosteneva Luigi Comencini mettersi al livello dell'infanzia è l'unico modo per liberarla, i Dardenne accreditano e ribadiscono la sua affermazione, accompagnando la corsa di Cyril verso una raggiunta consapevolezza e un nuovo elemento: l'amore.


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L'eterna lotta tra Balthazar Blake e Maxim Horvath, stregoni una volta amici e poi rivali a causa (come sempre) di una donna il cui amore li ha divisi, dopo essersi dipanata per secoli tra incantesimi, trappole e prigionie in bambole russe è arrivata al giorno d'oggi a Manhattan, dove Balthazar ha trovato quello che probabilmente è la nuova incarnazione di Merlino. Il grande mago è stato il maestro di entrambi ed è l'unico a poter fermare la strega Morgana, che Horvath mira a liberare dal giogo cui l'ha costretta Balthazar. Certo, la nuova incarnazione di Merlino non è proprio quello che si direbbe un avventuriero, Dave infatti nasconde molto bene (anche a se stesso) i propri poteri e le proprie doti ed è più interessato a vivere una vita normale, magari con una ragazza, che a combattere maghi dal passato. Sarà necessario un lungo percorso di apprendistato presso Balthazar per scoprirsi erede di Merlino.
Come il titolo lascia intuire tutto nasce dall'omonima ballata composta da Wolfgang Goethe, poi diventata poema sinfonico grazie alle musiche di Paul Dukas e infine arrivata al cinema come segmento di Fantasia con protagonista Topolino (seguendo sia la storia di Goethe che le musiche di Dukas). Da questo spunto sempre la Disney ha ora deciso di trarre un lungometraggio, allargando la storia, inventando una mitologia, dei precedenti, altri personaggi e creando una trama in pieno stile disneiano (ovvero il percorso classico di un eroe che si scopre tale tra l'amore per una ragazza e la conquista del proprio ruolo). Non manca, ovviamente, la scena delle scope con uno score musicale che riprende e ricorda molto quello di Dukas.
Lo sforzo fatto purtroppo non nasconde la realtà dei fatti: L'apprendista stregone, è uno spunto allargato a dismisura, una storia slabbrata per quanto è stata tirata per le lunghe, seguendo pedissequamente ogni moda in materia di film d'azione e fantasia senza criterio. Dal montaggio esageratamente frenetico realizzato senza coscienza che impedisce di comprendere le scene più caotiche, fino alla fotografia a colori saturi e contrastati, tutto appare una scelta dettata dalla produzione e non dalla direzione. Non bastasse questo anche le scelte di casting contribuiscono a levare plausibilità al racconto, con la notevole eccezione di Jay Baruchel e Alfred Molina, il resto del cast suona fuori parte, svogliato e mal diretto. Da Nicolas Cage al piccolo ruolo di Monica Bellucci il film è un continuo trionfo del falso, dell'implausibile e del fuori parte.
In un momento in cui il fantasy riempie le sale con saghe (Harry Potter e Le cronache di Narnia) o film singoli (Percy Jackson, Scontro tra Titani, Ember), l'inserimento di un'altra pellicola centrata su una dimensione magica e mitologica nella modernità sembra trovare senso solo nella maniera in cui cerca un'inedita commistione tra la magia tradizionale e la magia moderna, ovvero la tecnologia e la fisica. In L'apprendista stregone gli incantesimi sono per metà frutto di manipolazione della fisica e per metà imponderabile metafisica, perfetta rappresentazione dell'incastro razionale causato dalla crescente presenza nella quotidianità di forze reali che per la loro complessità appaiono inspiegabili all'uomo comune e quindi in tutto e per tutto simili alla magia. 



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Hereafter, il nuovo film di Clint Eastwood è un thriller soprannaturale che vede protagoniste tre persone: George (Matt Damon) è un operaio americano che ha un rapporto speciale con l'aldilà, Marie (Cécile de France) una giornalista francese che ha avuto una esperienza tra la vita e la morte che ha sconvolto le sue certezze e Marcus (George McLaren e Frankie McLaren) uno studente londinese che ha perso la persona che gli era più vicina e cerca disperatamente delle risposte. Le loro storie finiranno con l'intrecciarsi, le loro vite verranno cambiate per sempre da quello che credono esista, o debba esistere, nell’altro mondo.

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Jane Eyre è un’orfana affidata alle poche amorevoli cure di Mrs. Reed, una zia crudele che le negherà l’amore e rimetterà la sua (buona) educazione al collegio di Lowood. Dieci anni e troppe umiliazioni dopo ne uscirà temprata e desiderosa di cominciare una nuova vita a Thornfield, una tenuta immersa nella campagna dello Yorkshire, dove viene assunta come istitutrice. Tra una lezione di aritmetica e una di musica scontra e incontra l’inquieto Edward Rochester, signore della casa e presto del suo giovane cuore. Decisi a resistere al sentimento che li tormenta, vanno e tornano da Thornfield per non cedere alla tentazione di amarsi. Ma l’amore li vincerà e li condurrà all’altare, dove Jane scoprirà la natura dell’instabilità di Rochester. Incapace di gestire rivelazione e dolore si allontanerà dall’amato, scegliendo per sé una vita di silenzio e rassegnazione. Ma gli anni e la solitudine porteranno consiglio al suo cuore e alla sua intransigenza.
Non è facile ridurre il lungo e complesso romanzo di Charlotte Brontë senza il rischio di snaturarne o peggio epurarne pagine e anima. Ciò nondimeno riescono nell’impresa Moira Buffini, sceneggiatrice inglese, e Cary Joji Fukunaga, regista californiano, sceneggiando una versione struggente e ‘integrale’ di “Jane Eyre”. Popolare storia d’amore vittoriana di cui propongono una soluzione non lineare, che coglie la protagonista in media res e recupera nei flashback gli avvenimenti passati. Nella brughiera battuta con indistinguibile disperazione dalla Cathy di Emily Brontë, avanza a fatica e inciampa fiaccata la Jane di Mia Wasikowska, sospesa tra passato e futuro per dimenticare il presente e l’uomo che incontenibilmente lo abita. Jane Eyre, biograficamente prossima alla sua creatrice, è un’(anti)eroina in bilico tra diurno e notturno, tra un happy end mancato e un incipit riparatore, tra un romanzo gotico e uno di formazione, tra convenzioni borghesi ed evasioni fantastiche prodotte fin da bambina dalla sua mente visionaria ed eccitabile, che il film visualizza nei disegni, nella stanza rossa, nei presagi notturni, nelle allucinazioni dietro la porta e sotto la neve, nelle bizze del cavallo montato da Rochester.
La trasposizione di Fukunaga coglie il cuore di “Jane Eyre” e si insinua nei suoi movimenti, nei paesaggi mossi e negli ambienti scuri, rivelando un libro diviso in due, indeciso tra tradizione e rivoluzione. Dalle moorland britanniche muove allora una versione tutt’altro che moralista (e zeffirelliana), che radicalizza il conflitto tra Jane e il suo ambiente ritualizzato e attribuisce al Rochester volubile ed erotizzante di Michael Fassbender una funzione meno marginale. La prepotente volontà di sposare Jane del suo Rochester fa impallidire la prova di William Hurt nell’omonimo e impersonale dramma di Zeffirelli, che sopprime la proposta di bigamia e il sacrificio coniugale sopportato dal protagonista per sostenere il prestigio di famiglia con le ricchezze della moglie pazza e rimossa in soffitta. Fedele al testo ma sopra a ogni cosa alle diverse capacità di produzione del cinema, il regista si avvale di tutte le unità formali del mezzo e di due attori capaci di ‘riscaldare’ il freddo che affligge le case vittoriane, di accendere i personaggi letterari, di illuminarli e di chiuderli, di cogliere le possibilità implicite nel romanzo, di riprenderle e rimodellarne nei duetti dialogati che urlano intimi travagli e ‘brillano’ il mondo claustrofobico che Jane ed Edward si sono costruiti. Come Jane sul punto di cedere all’insistente offerta di St. John Rivers intende il richiamo di Rochester, così Mia Wasikowska e Michael Fassbender comprendono quello di Charlotte Brontë e avanzano alla ricerca di una vita mancata. Da rileggere e da (re)interpretare.

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Nel penitenziario di Sweetwater, il carcere di massima sicurezza sperduto nel deserto del Mojave dove sono detenuti i peggiori delinquenti di tutti gli Stati Uniti, arriva un campione dei pesi massimi, incriminato per molestie sessuali (ogni riferimento è puramente casuale). Ma a Sweetwater c'è già un altro pugile e lo scontro tra i due è chiaramente inevitabile. La boxe è la vera protagonista di questo film, o per meglio dire, l'ideale più puro della boxe, almeno secondo il boss mafioso che detta il bello e il cattivo tempo all'interno del carcere, quello "scontro uno contro uno in cui l'unica posta in palio è il rispetto".


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Tratto dalla storia vera di Kathy Bolkovac, un ufficiale di polizia americana che accetta un lavoro nelle forze di pace nella Bosnia del dopo guerra. Le sue illusioni di partecipare alla ricostruzione di un paese vengono ben presto distrutte quando si scontra con la pericolosa realtà di un mondo corrotto e pieno di intrighi, dove regnano le società di vigilanza private e il linguaggio contorto delle diplomazie multinazionali.

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Il chirurgo estetico Robert Ledgard ha perso la moglie in un incidente d'auto che l'ha completamente carbonizzata. Da allora, ha messo tutto il suo impegno di scienziato per costruire una pelle sostitutiva, leggermente più resistente di quella umana e perfettamente compatibile. Perfezionata l'invenzione, Robert ha avuto bisogno di una cavia e non ha esitato a sequestrare il ragazzo che ha tentato di stuprargli la figlia, a privarlo dell'organo più esteso del suo corpo e ad obbligarlo a (soprav)vivere in un'altra pelle, che non gli appartiene.
Quando il film si apre su una bella ragazza con un'attillatissima tutina color carne, che fa yoga come fosse una ballerina di Pina Bausch e crea sculture ispirate a quelle di Louise Bourgeois, ci appare immediatamente chiaro dove ci troviamo: di fronte ad un Pedro Almodovar al cento per cento, tutt'altro che transgenico, piuttosto ormai manierista. Il resto del film si occuperà di confermare senza sosta questa prima impressione.
La scrittura, come in quasi tutti gli ultimi titoli del regista, è anche qui un meccanismo perfetto, rotondo, nel quale i dialoghi servono spesso ad alleggerire una trama ritagliata con chirurgica perizia, come fosse fatta di pezzi di un puzzle (Gli abbracci spezzati) o di lembi di pelle da far combaciare senza che si noti la cicatrice. Battute come “Mi chiamo Vera. Vera Cruz”, solleticano la risata in pubblici diversi e stratificati, strizzando l'occhio tanto ad un'epoca (gli anni Cinquanta) e ad un cinema di genere fatto di continui colpi di scena, quanto, fuori dallo schermo, alla rinuncia dell'attrice feticcio di Almodovar, Penelope, che era stata pensata per il ruolo finito poi in sorte a Elena Anaya (e la mancanza della Cruz qui non si sente, poiché la sua “seconda pelle” se la cava benissimo). A livello estetico, accade esattamente la stessa cosa: dentro un impianto visivo algido ed elegante, irrompe -volutamente grottesco- un uomo vestito da tigre. Almodovar, dunque, rifà se stesso: insieme kitsch e affascinante, artista matur(at)o ed énfant prodige birichino. E poi telecamere nascoste, primi piani congelanti, scambi di sesso ma non di identità, madri con segreti mai confessati, figli/fratelli ignari l'uno dell'altro.
Il mito di Frankenstein -espressione da sempre della paura nei confronti dei progressi della tecnologia e della scienza, e mito gotico per eccellenza-, più che oggetto di un'indagine o di una riflessione sembra servire ad Almodovar come un semplice contenitore, un involucro funzionale e intonato nel colore, resistente e compatibile con la celebrazione di sé e del proprio gusto.


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Carlos e' il nome in codice di Ilich Ramírez Sánchez, terrorista mercenario filopalestinese di origini venezuelane (ma attivo piu' che altro in Europa), autore di alcune tra le piu' violente stragi degli anni '70 e al centro di una gigantesca caccia all'uomo della polizia. Carlos e' bello, prestante e furbo. Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina lo prende con se' e lui fa carriera velocemente grazie al sangue freddo e al carattere, almeno fino al clamoroso assalto al quartier generale dell'OPEC nel 1975, quando riusci' a sequestare sessanta ostaggi e scappare con loro in un DC-9 fornito dalla polizia. Quell'operazione pero' e' anche l'inizio della fine dei rapporti con il FPLP e l'inizio della peregrinazione che nel giro di vent'anni lo portera' in carcere.
Ultimo innesto di una fortunata serie di film europei, per il cinema e per la tv, che affrontano con epica, gusto e forte senso dell'intrattenimento gli anni di piombo (non in senso temporale stretto ma in senso lato), leggendo le vite e le opere dei piu' noti villain della cronaca, Carlos non si distacca per stile, toni e approccio dai suoi predecessori.
Come gia' fece Marco Tullio Giordana trattando le Brigate Rosse in La meglio gioventu' o anche Marco Bellocchio in Buongiorno, Notte o ancora come si e' visto nel meno riuscito La Prima Linea, i criminali riconosciuti e condannati sono raccontati con i tempi e le modalita' del cinema d'azione (sempre all'europea, s'intenda) ma cercando in ogni momento di far si' che l'epica che si accompagna al genere non scada nell'apologia.
Men che meno vuole infognarcisi Assayas, che sembra procedere sul medesimo binario (narrativo e visivo) su cui si era mosso Jean-François Richet per il suo ritratto di Jacques Mesrine nel dittico Nemico pubblico n.1, di fatto rinunciando a molti dei tratti piu' evidenti del suo cinema. Parte di questa scelta sembra giustificabile dalla committenza (e poi distribuzione) televisiva del film e parte sembra invece frutto della felice intuizione di mettersi da parte per inserirsi nel piu' continentale gioco alla ricostruzione della stagione terroristica degli anni '70 attraverso il filtro dell'avventura.
Il Carlos di Assayas e' bello e desiderabile e il regista non esista a dilungarsi molto nelle scene che mostrano il corpo nudo di Edgar Ramirez, nel suo fare avanti e indietro tra forma smagliante e pesante ingrassamento. Carlos e' un guerriero e come tale ha un corpo che e' in se' un'arma, una caratteristica che, ancora una volta, avvicina il modo in cui si guarda Ramirez a quello in cui si guarda Vincent Cassel e al suo straordinario Jacques Mesrine, piu' spaventoso e autoritario all'aumentare dei chili.
Sebbene il film sia nettamente piu' dinamico nella prima che nella seconda parte, l'opera nel suo complesso disegna un affresco molto attento alla ricostruzione storica. Un cartello prima dell'inizio spiega per bene cosa e' vero e cosa no, cosa e' immaginato e inventato e cosa e' invece stato riconosciuto legalmente come colpa del criminale. Non c'e' nostalgia, adesione o repellenza per l'ideologia alla base delle azioni del protagonista. La politica, per quanto molto presente, fortunatamente non e' elemento del discorso filmico come lo era nell'eccessivamente pesante La banda Baader Meinhof.
La visione unica dell'opera da cinque ore e mezza che ha offerto il Festival di Cannes tuttavia non e' forse il modo migliore per godere di una storia organizzata per essere fruita in diverse parti. La scansione, il ritmo e le svolte non sono organizzate per una visione tradizionale ed e' probabile che i passaggi televisivi migliorino l'impressione globale.

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Stephen Meyers, responsabile della comunicazione giovane e idealista, viene assunto dal governatore Mike Morris, carismatico ma poco ortodosso candidato presidenziale. Nel corso della campagna il giovane toccherà con mano le bassezze, le menzogne e i trucchi della politica.

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Matteo è un venticinquenne che vive con disagio una stagione di scelte cruciali e attende che qualcosa arrivi a rivoluzionare la sua esistenza. Poi un evento traumatico il tamponamento di un auto con a bordo due poliziotti in borghese altera il corso delle cose e Matteo inizia a vivere una sorta di doppia esistenza, come se il suo destino prendesse due biforcazioni diametralmente opposte…

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Nord Italia. Fine anni Settanta. Estate. Alla periferia di una città in un quartiere abitato da immigrati del sud e e del nord est un gruppo di ragazzini, capitanati dal siciliano Carmine ha costituito come proprio dominio il Castello, due vecchi silos arrugginiti. Nel quartiere giunge un nuovo medico condotto, il dottor Boldrini. Il suo atteggiamento aristocratico intimorisce un po' gli abitanti i quali lo temono e lo ammirano al contempo. I bambini scopriranno un suo terribile segreto ma avranno timore di non essere creduti nel momento in cui dovessero raccontarlo agli adulti. Oggi Carmine, Sandro e Cinzia sono tre adulti su cui quel passato ha lasciato dei segni profondi.
Daniele Gaglianone prosegue il suo percorso caratterizzato dal rifuggere dal facile successo e dall'indagine su quanto accade quando la violenza, esplicita o celata che sia, irrompe nelle vite delle persone imprimendovi il suo marchio indelebile. Lo fa con uno stile visivo complesso che interrompe l'impressione di realtà grazie a sfocature o a neri improvvisi che costringono lo spettatore a staccarsi dall'azione per concedersi un, seppure breve, spazio di riflessione. Se si vuole trovare un difetto a Ruggine lo si può individuare nell'ampio tempo che si concede prima di entrare in situazione ma forse anche questo, nell'ottica d'insieme, finisce con il divenire funzionale.
Perché Gaglianone chiede disponibilità allo spettatore. Una disponibilità anche a farsi bambino e quindi a comprendere che la caratterizzazione di un sempre più raffinato Filippo Timi nel ruolo del dottor Boldrini ‘deve' essere esasperata. Per quei bambini di un'epoca in cui l'immaginario collettivo non era ancora stato pervaso da miliardi di stimoli visivi quotidiani, il dottore è un Uomo Nero delle fiabe. É quel drago che un Sandro divenuto padre materializzerà sotto forma di gioco con il figlio, che Carmine continuerà a cercare di uccidere dentro di sé e che Cinzia proverà a combattere, consapevole che ha assunto forme diverse. Magari quelle di due colleghi del Consiglio di classe in sede di scrutinio incapaci di leggere le difficoltà di un'alunna forse abusata in famiglia ma vista invece con lo sguardo malato di una società che si ferma all'aspetto fisico e si ritrova succube di pulsioni inconfessate che pubblicamente deplora. Un suggerimento: non lasciate la sala appena iniziano i titoli di coda. La ruggine non ha ancora smesso di corrodere lo schermo e l'animo dei protagonisti.

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Laura ha 19 anni, studia all’università e ha un lavoretto in un call center che non basta però a pagare l’affitto, le spese, i libri di testo, del cibo decente. Non volendo mettere in difficoltà i genitori, un muratore e un’infermiera, a corto di soluzioni e senza un soldo che non sia di debito, si avventura una sera in rete su un sito di annunci e trova quello di Joe, cinquantenne di bella presenza, che cerca una studentessa per scambiare qualche tenerezza. Paga cento euro all’ora. Laura si dice che sarà per una volta soltanto, ma il guadagno facile, i problemi improvvisamente svaniti, la possibilità di pagare per una volta da bere agli amici o di comprarsi una giacchetta di pelle, la trasformano immediatamente in qualcuno che vende il proprio corpo per denaro, cercando di dimenticare in fretta il disagio e la violenza per ricordare soltanto la busta e la falsa indipendenza che porta con sé. Anche volendo, per Laura uscire da questa spirale sarà tutt’altro che facile.
Studia lingue straniere all’università, la protagonista di questo film, ma è evidente che nessuno comprende la sua, forse perché lei stessa per prima non parla, almeno non veramente. In questo dialogo mancato con i coetanei e con gli adulti, che emerge solo traslato, per sintomi e somatizzazioni (a digiuno da giorni, Laura sviene in aula lasciando gridare aiuto al suo stomaco anziché alla sua voce), c’è forse l’unico giudizio della regista sul contenuto dell’opera, l’unica ipotetica motivazione, veicolata silenziosamente, appunto. Per il resto, Emmanuelle Bercot, attrice e regista, etichettata in patria come esperta di intimità giovanile e femminile in particolare, accetta di dirigere questo film-denuncia nato per la televisione (Canal+) ma non di offrire soluzioni né capri espiatori e nemmeno alternative. Il suo è uno sguardo apparentemente freddo e lucido, confermato dai calcoli aritmetici che appaiono in sovrimpressione per fare i conti in tasca a Laura, e fedele al libro-verità della reale Laura D., che in Francia ha sollevato un dibattito civico e prodotto ben altri numeri (i rapporti istituzionali stimano che 40mila tra ragazzi e ragazze ricorrano a questo genere di soluzione per pagarsi gli studi fuori sede).
Apparentemente freddo, dicevamo, lo sguardo della Bercot è in realtà sempre al limite del ‘favoreggiamento’, tanto è evidente l’affettuosa fascinazione della camera per la bellezza dell’attrice Déborah François, a sua volta impegnata in una performance acrobatica tra ingenuità e intenzionalità, coscienza e suo contrario. Sono loro due, vincitrici di questa prova di equilibrio, a strappare a tratti il film dalla sua dimensione mediocre e di servizio, ma solo a tratti e, alla fine dei conti (per restare in ambito di commercio), non basta.

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George è un adolescente solitario, dotato di una sensibilità che lo porta a tormentarsi sui grandi perché della vita. A scuola, passa il tempo a riempire di schizzi e disegni i libri di testo durante le ore di lezione e a fumare qualche sigaretta in cortile nelle ore libere, rischiando così di compromettere il diploma e la possibilità di andare al college. A turbare questa sua solitaria quiete da giovane misantropo, arriva un giorno Sally, una compagna di scuola affascinata da quei modi schivi, riservati e ingenuamente ribelli, che vede in lui un animo più affine rispetto a quello di tutti gli altri suoi amici ricchi e viziati. L'emarginazione volontaria di George comincia così lentamente a sciogliersi, man mano che sente crescere i suoi sentimenti per Sally.
C'è un potenziale giovane Holden in ogni angolo di Manhattan. Del romanzo di Salinger, per quanto non esista nessuna versione filmica ufficiale, conosciamo ormai una quantità di libere trasposizioni perlopiù provenienti dai cataloghi del Sundance. L'arte di cavarsela è una di queste: ennesima variazione dell'adolescente inquieto e senza prospettive sullo sfondo dello skyline newyorkese, che solo negli ultimi anni abbiamo riconosciuto in Igby goes down, L'amore giovane o Fa' la cosa sbagliata. Come i protagonisti di queste storie, George è un giovane scapigliato perso nella sua sensibilità e nella sua acerba incapacità di esprimersi, la cui insofferenza per le regole non è dovuta tanto a un senso di innata ribellione, quanto a un nostalgismo precoce che gli fa vivere con indifferenza il mondo circostante e gli scopi della vita. Oltre a Holden Caufield, c'è quindi un po' del nobile fatalismo del Bartleby di Melville, dell'abulia esistenziale dei personaggi di Camus, più un insieme di suggestioni letterarie, artistiche e filmiche di varia natura.
La formula standard del romanzo di formazione e della storia d'amore fra il platonico e il tormentato vengono perciò rispettate, così come quell'aria da film indipendente americano che guarda all'esistenzialismo europeo, citando esplicitamente “Lo straniero” o la versione di Zazie nel metrò diretta da Louis Malle. L'opera prima di Gavin Wiesen non si sforza quindi di andare in senso contrario rispetto agli stereotipi del cinema indie-teen. Anzi, come il suo protagonista, rimane inerme alle circostanze e asseconda tutti i cliché del genere, in particolare quelle scelte musicali che obbligano ad avere gli Shins, Leonard Cohen o qualche brano melodico di musica rock sempre in sottofondo. Tuttavia, dove Wiesen “se la cava” meglio è nella costruzione dei personaggi. Per quanto il titolo possa suonare infelicemente arrogante per un film che parla di adolescenti benestanti che vivono nei quartieri alti di Manhattan, L'arte di cavarsela tiene sospeso il proprio sguardo verso la vita agiata della borghesia newyorkese fra l'empatia e la critica. A cominciare dallo stesso George, in questo microcosmo scolastico e familiare dell'Upper West Side vivono figure al contempo affascinanti e fastidiose. È un universo senza buoni o cattivi, dove emergono tanto le vacuità e i fallimenti che l'indole più dolce dei vari caratteri, tanto il loro lato meschino e viziato che quello con meno asperità. Una New York popolata di adulti che accumulano divorzi e traslochi, troppo indulgenti e troppo libertari, e di adolescenti viziati ma sensibili, ognuno con grosse turbe sentimentali. Personaggi irrisolti e sfaccettati come lo è il film di Wiesen. Ma, in fondo, come lo è anche l'adolescenza.

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In un'isola del Mare Nostrum, Filippo, un ventenne orfano di padre, vive con la madre Giulietta e il Nonno Ernesto, un vecchio e irriducibile pescatore che pratica la legge del mare. Durante una battuta di pesca, Filippo ed Ernesto salvano dall'annegamento una donna incinta e il suo bambino di pochi anni. In barba alla burocrazia e alla finanza, decidono di prendersi cura di loro, almeno fino a quando non avranno la forza di provvedere da soli al loro destino. Diviso tra la gestione di viziati vacanzieri e l'indigenza di una donna in fuga dalla guerra, Filippo cerca il suo centro e una terra finalmente ferma.
Terraferma è la terza opera che Emanuele Crialese dedica al mare della Sicilia in un'instancabile ricerca estetica avviata con Respiro nove anni prima. Come Conrad, Crialese per raccontare gli uomini sceglie “un elemento altrettanto inquieto e mutevole”, una visione azzurra ‘ancorata' questa volta al paesaggio umano e disperato dei profughi. Sopra, sotto e intorno a un'isola intenzionalmente non identificata, il regista guarda al mare come luogo di infinite risonanze interiori. Al centro del suo ‘navigare' c'è di nuovo un nucleo familiare in tensione verso un altrove e oltre quel mare che invade l'intera superficie dell'inquadratura, riempiendo d'acqua ogni spazio.
Dentro quella pura distesa assoluta e lungo il suo ritmo regolare si muovono ingombranti traghetti che vomitano turisti ed echi della terraferma, quella a cui anela per sé e per suo figlio la Giulietta di Donatella Finocchiaro. Perché quel mare ingrato gli ha annegato il marito e da troppo tempo è avaro di pesci e miracoli. Da quello stesso mare arriva un giorno una ‘madonna' laica e nera, che il paese di origine ha ‘spinto' alla fuga e quello ospite rifiuta all'accoglienza. La Sara di Timnit T. è il soggetto letteralmente ‘nel mezzo', a cui corrisponde con altrettanta drammaticità la precarietà sociale della famiglia indigena, costretta su un'isola e dentro un garage per fare posto ai vacanzieri a cui è devoto, oltre morale e decenza civile, il Nino ‘griffato' (e taroccato) di Beppe Fiorello. Ma se l'Italia del continente, esemplificata da tre studenti insofferenti, si dispone a prendere l'ultimo ferryboat per un mondo di falsa tolleranza dove non ci sono sponde da lambire e approdare, l'Italia arcaica dei pescatori e del sole bruciante (re)agisce subito con prontezza ai furori freddi della tragedia. Di quei pescatori il Filippo di Filippo Pucillo è il degno nipote, impasto di crudeltà e candore, che trova la via per la ‘terraferma' senza sapere se il mare consumerà la sua ‘nave' e la tempesta l'affonderà. Nel rigore della forma e dell'esecuzione, Crialese traduce in termini cinematografici le ferite dell'immigrazione e delle politiche migratorie, invertendo la rotta ma non il miraggio del transatlantico di Nuovomondo. Dentro i formati allungati e orizzontali, in cui si colloca il suo mare silenzioso, Terraferma trova la capacità poetica di rispondere alle grandi domande sul mondo. Un mondo occupato interamente dal cielo e dal mare, sfidato dal giovane Filippo per conquistare identità e ‘cittadinanza'.


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Julia Jarmond è una giornalista americana, moglie di un architetto francese e madre di una figlia adolescente. Da vent'anni vive a Parigi e scrive articoli impegnati e saggi partecipi. Indagando su uno degli episodi più ignobili della storia francese, il rastrellamento di tredicimila ebrei, arrestati e poi concentrati dalla polizia francese nel Vélodrome d'Hiver nel luglio del 1942, 'incrocia' Sara e apprende la sua storia, quella di una bambina di pochi anni e ostinata resistenza che sopravviverà alla sua famiglia e agli orrori della guerra. Impressionata e coinvolta, Julia approfondirà la sua inchiesta scoprendo di essere coinvolta suo malgrado e da vicino nella tragedia di Sara. Con pazienza e determinazione ricostruirà l'odissea di una bambina, colmando i debiti morali, rifondendo il passato e provando a immaginare un futuro migliore.
La Shoah è un argomento pericoloso dal punto di vista artistico. Si tratta di una tragedia così traumatica e indicibile da renderla di fatto irrappresentabile. Eppure il cinema si è misurato infinite volte con questo soggetto storico tentando approcci 'esemplari' con Il pianista di Polanski o Schindler's List di Spielberg, sperimentando sguardi morbosi con Il Portiere di notte, osando quello favolistico e 'addolcente' con La vita è bella e Train de vie. Ci ha provato con la stessa urgenza e serietà il cinema documentario fallendo ugualmente l'intento di avvicinare la realtà della Shoah. A mancare troppe volte e nonostante le migliori intenzioni sembra essere una maggiore coscienza storica e morale.
La chiave di Sara non fa eccezione, riducendo la dismisura dell'orrore a una semplice funzione narrativa, preoccupandosi di comunicare, piuttosto che capire, quanto accaduto. Trasposizione del romanzo di Tatiana de Rosnay, La chiave di Sara aderisce al dramma interiore della bambina del titolo raddoppiandone il senso di colpa ed esibendo un gusto per l'iperbole che lascia perplessi.
Se il film di Gilles Paquet-Brenner ha l'indubbio merito di recuperare un evento storico dimenticato e di fare luce sul rastrellamento del Vélodrome d'Hiver, sui campi di smistamento e di concentramento, sulle delazioni e sulle responsabilità francesi, facendo tutti (poliziotti, funzionari e civili) compartecipi di un errore e di una mancata presa di coscienza, nella realizzazione pecca di didascalismo e ridondanza. Inopportuni i rilanci narrativi (nel film è Sara a chiudere il fratellino nell'armadio) per rendere la vicenda ancora più emozionante. Al di là della buona volontà e dell'obiettivo storico-didattico l'impressione è che il regista abbia sfruttato le componenti più tragiche della vicenda dissimulandole dietro lo sguardo gentile di Kristin Scott Thomas e quello ruvido di Niels Arestrup, che provano con le loro misurate interpretazioni ad arginare un diffuso bozzettismo emozionale. Una tale semplificazione conduce a una banalizzazione del male, la cui sola prerogativa è quella di mettere in risalto la superiorità del bene.
La chiave di Sara, sospeso tra un passato mai esaurito e una contemporaneità in divenire, rimette innegabilmente in discussione un deplorevole momento della vicenda nazionale, ma con altrettanta evidenza si stacca dalla verità dei documenti, contagiandola con le 'contraffazioni' dell'entertainment e il sentimento popolare, troppo incline agli amarcord e poco alla Memoria.

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Assunto come general manager della squadra di baseball degli Oakland's Athletics, Billy Beane cerca di trovare in un complesso sistema computerizzato d'analisi statistica il modo di trovare i giocatori migliori da mettere sotto contratto e da schierare. Per tornare finalmente a vincere.

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Luna e Amar sono una coppia. Il loro rapporto è messo a dura prova. Amar viene licenziato perché si è presentato ubriaco al lavoro. Luna è molto preoccupata; si domanda se il suo sogno di avere un bambino con Amar è ancora realizzabile. Le sue preoccupazioni riguardo al loro futuro aumentano quando Amar accetta un lavoro ben pagato presso una comunità musulmana a molti chilometri di distanza da casa. E' solo dopo un lungo periodo di separazione che finalmente Luna è autorizzata ad andare a trovare Amar in questa comunità wahabita conservatrice, sui bordi di un lago idilliaco.

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Margaret Thatcher, ex Primo Ministro britannico, ormai ottantenne, fa colazione nella sua casa in Chester Square, a Londra. Malgrado suo marito Denis sia morto da diversi anni, la decisione di sgombrare finalmente il suo guardaroba risveglia in lei un’enorme ondata di ricordi. Lo staff di Margaret manifesta preoccupazione a sua figlia, Carol Thatcher, per l’apparente confusione tra passato e presente dell’anziana donna; confusione che sembra accentuarsi sempre più col passare del tempo.

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Il film ACAB racconta le vicende dei tre poliziotti Cobra, Negro e Mazinga, che hanno più di 40 anni e militano nel VII Nucleo di Polizia, un reparto speciale mobile in prima linea contro ultrà, black bloc, No Tav etc. Tratto da un libro di Carlo Bonini il film il cui titolo è l'acronimo di All cops are Bastards (tutti i poliziotti sono bastardi) racconta la storia di questo gruppo di poliziotti del reparto celere con toni duri e violenti, raccontando da un punto di vista diverso manifestazione ed eventi pubblici dentro il casco di un poliziotto.

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Marco soffre di paranoie che lo portano a sentire voci che lo inducono al suicidio. Niente sembra aiutarlo, nemmeno il centro dove si reca ogni giorno o il fratello Davide. Un giorno legge su un giornale in Olanda si pratica ..

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Il Faust di Sokurov non è un adattamento della tragedia di Goethe nel senso tradizionale, ma una lettura di ciò che rimane tra le righe. Che colore ha un mondo che produce idee colossali? Che odore ha? C’è un’aria pesante nel mondo di Faust: progetti sconvolgenti nascono nello spazio angusto dove si affaccenda. È un pensatore, un veicolo di idee, un trasmettitore di parole, un cospiratore, un sognatore. Un uomo anonimo guidato da istinti semplici: fame, avidità, lussuria. Una creatura infelice, perseguitata che lancia una sfida al Faust di Goethe. Perché rimanere nel presente se si può andare oltre? Spingersi sempre più in là, senza notare che il tempo si è fermato. E passeremo anche noi.

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Il giornalista di successo Mikael Blomkvist, aiutato della giovane e ribelle hacker Lisbeth Salander accetta un incarico dal ricco industriale H. Vanger: indagare sulla scomparsa della nipote Harriet, avvenuta quarant’anni prima. Da allora, ogni anno un misterioso dono anonimo riapre la vicenda. Dopo mesi di ricerche, Blomkvist e Salander scopriranno la sconvolgente ed inaspettata verità.


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Dopo la morte di suo fratello minore, Jack si prepara a incontrare dopo molti anni suo padre, con cui da bambino aveva un rapporto conflittuale. L’evento doloroso sarà l’occasione, per l’uomo, per una riflessione sulla sua vita, sulla sua storia familiare e, più in generale, sul senso e lo scopo ultimo dell’esistenza.




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Fred, il ribelle del gruppo della Squadra protezione minori di Parigi, s’invaghisce di Mélissa, fotografa incaricata dal ministero dell’Interno di dedicargli un reportage. Divisa tra l’irruento Fred e François, il suo infedele marito, ricco direttore d’orchestra, Mélissa sarà costretta a scegliere tra una vita di agi e l’avventura che le offre Fred.



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T.J. ha 13 anni. Con il padre Paul si è trasferito a vivere dalla nonna, nel tentativo di riprendersi dalla morte della madre, avvenuta due mesi prima in un incidente. La possibilità di riprendersi, per T.J., arriva nella forma più inaspettata e imprevedibile. Quella del giovane Hescher, un solitario metallaro sporco e malnutrito con l'hobby di dare fuoco alle cose e dalla sigaretta sempre accesa. T.J. rimane affascinato dal carisma e dall'anticonvenzionalità di Hesher, e sarà solo grazie alla sua carica anarchica ed eversiva che lui e suo padre riusciranno a impadronirsi nuovamente delle loro vite.







Estate del 1942. La Francia è sotto l’occupazione tedesca. Gli ebrei vengono prima costretti a portare la stella gialla, poi vengono allontanati da ogni luogo pubblico, dal loro impiego, dalle scuole… Nel quartiere di Montmartre vivono molte famiglie ebree tra cui quella di Joseph, 10 anni. Nella notte tra il 15 e il 16 Luglio oltre 13.000 ebrei vengono arrestati a Parigi e divisi tra famiglie con figli, radunate nello stadio del velodromo d’inverno, il Vel d’Hiv di Parigi, e persone nubili, smistate nel campo di Drancy, alla periferia della capitale francese, in attesa di essere deportati ad Auschwitz. Ma un mattino Joseph e gli altri bambini si ritrovano da soli, separati dai genitori. La loro fragile felicità inizia drammaticamente a vacillare.





Clark ha organizzato la festa perfetta per la sua fidanzata Sharon ma i suoi piani vengono scombinati dall’arrivo di due amiche della ragazza. Le tre ragazze infatti abbandonano i festeggiamenti per lanciarsi in avventure bizzarre in giro per la città fra sette sataniche e sbronze indimenticabili.


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Era il 30 maggio 1994, a dieci anni esatti dalla finale di Coppa Campioni persa dalla Roma ai calci di rigore contro il Liverpool, quando Agostino Di Bartolomei, storico capitano del secondo scudetto giallorosso, si tolse la vita sparandosi un colpo di pistola al cuore. Una morte che ha colto chiunque di sorpresa, lasciato tutti nello sgomento e che ha spinto molte persone ad interrogarsi almeno una volta sul loro rapporto con Agostino, provando invano a cercare un perché ad una tragedia che ha segnato indelebilmente le coscienze di molti. Attraverso una raccolta d’interviste a parenti, amici, allenatori, compagni di squadra, tifosi, personalità del mondo del calcio e dello spettacolo, arricchite da contributi fotografici e immagini di repertorio inedite, il film racconta le diverse sfaccettature di una personalità complessa di cui il mondo dello sport sembra capace di leggere solo una parte.


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Bobby (Ben Affleck), un rampante dirigente all’apice della sua carriera, è vittima di un ridimensionamento aziendale causato dalla crisi finanziaria. Passa da una vita da sogno – una moglie splendida, due bambini e una villetta con giardino – al peggiore degli incubi, rifiutando di accettare la situazione.


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Quattro uomini, agenti delle forze dell’ordinesi trovano ad affrontare pericoli ogni giorno. Eppure, quando la tragedia colpisce luoghi e persone vicini alla loro casa, questi padri sono lasciati alle prese con le loro speranze, le loro paure, e la loro fede. Da questa lotta arriverà una decisione che sconvolgerà tutta la loro vita. Con l’azione, il dramma e un po’ d’umorismo, le anime saranno mosse e i cuori saranno chiamati ad essere… coraggiosi!

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Remake di un classico diretto da Sam Peckinpah, Cani di Paglia racconta la storia di uno scrittore di Los Angeles che si trasferisce nella città natale della moglie, nel profondo Sud. Le inevitabili tensioni che nascono all’interno della coppia dovranno essere messe da parte per fronteggiare la minaccia dei conflitti con la gente del posto. Nel film del 1971 Dustin Hoffman interpretava il protagonista, ruolo che nella nuova pellicola è andato al giovane James Mardsen






Siamo nell’Irlanda del diciottesimo secolo. Albert Nobbs è migliore dei camerieri che lavorano in un albergo di Dublino. La sua vita è totalmente dedicata a svolgere la sua professione il meglio possibile, in modo da poter guadagnare il denaro necessario per aprire in futuro una sua attività commerciale. Albert Nobbs ha però un segreto: è una donna. Quando nell’albergo arriva un pittore che deve imbiancare gli interni la sua copertura vacilla …







Ispirato dall’opera teatrale di Christopher Hampton, A Dangerous Method racconta le vicende dei due padri della psicanalisi, Sigmund Freud (Viggo Mortensen) e Carl Jung (Michael Fassbender), e del loro rapporto con una loro bellissima paziente e allieva, Sabina Spielrein (Keira Knightley), una delle prime donne a diventare analiste.

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Ludovico è un diciottenne di cupe speranze, bello, ricco e tenebroso. Ostile a concentrarsi sul futuro, preferisce occupare camere da letto di case lontane e sale da pranzo di amici. Orfano da più di dieci anni, vive ufficialmente con uno zio imbroglione ma è come se non avesse dimora, si trascina da un luogo all'altro senza stabilirsi da nessuna parte. Dopo aver sedotto la madre del suo migliore amico e la bella professoressa di latino, incontra la solitaria Giulia e se ne innamora. Ma lei, al contrario delle altre amanti mature, si ostina a nascondergli la sua identità, lo desidera intensamente ma poi puntualmente lo rifiuta. Quando Ludovico scopre chi è veramente Giulia, crolla in una disperata ricerca di senso che lo porta a riallacciare un legame con la pubertà perduta.




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Manuela, una ragazzina cresciuta in fretta, vive nel sobborgo di una grande città del sud Italia, Librino. Un giorno, per noia e per gioco, s’inventa di poter fare miracoli. Viene creduta e da quel momento irrompe nella sua vita un’umanità affamata e bisognosa che le chiede di tutto: dal posto di lavoro perduto alla vittoria del campionato di calcio. Sua madre, Rita, ex Miss del quartiere, si accorge di poterne fare un business. 

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Una normale gita in montagna si trasforma in un incubo agghiacciante per tre snowboardisti bloccati sulla seggiovia prima della loro ultima discesa. Quando i responsabili dell'impianto sciistico spengono le luci, il panico avvolge i tre man mano che si rendono conto di essere stati dimenticati lì, sospesi in aria senza alcuna via di fuga. Ben consci del fatto che l'impianto non riaprirà fino al weekend successivo, con i primi sintomi del congelamento e dell'ipotermia, i nostri protagonisti sono costretti a prendere iniziative disperate nel tentativo di abbandonare la montagna prima di morire congelati. Ma si rendono presto conto con terrore che non è solo il gelo che devono temere. Trovandosi a dover combattere ostacoli inaspettati, devono anche chiedersi se la loro volontà di vivere sia abbastanza potente da aiutarli a sfuggire a una delle morti più atroci possibili.




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A Berlino per un congresso, il Dott. Martin Harris è vittima di un incidente stradale a bordo di un taxi. Dopo quattro giorni di coma si risveglia, per scoprire che un altro uomo ha assunto la sua identità e che persino sua moglie, in viaggio con lui, afferma di non conoscerlo. Ignorato dalle autorità e braccato da un misterioso assassino, Martin trova nella tassista del suo incidente un alleato per scavare a fondo in un mistero che mette in gioco la sua identità e la sua sanità mentale.




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War Horse si svolge in Europa durante la Prima Guerra Mondiale e racconta la straordinaria storia di amicizia tra un cavallo di nome Joey e un giovane ragazzo, Albert, che lo alleva e lo addestra. Quando vengono separati, l’eroico viaggio del cavallo Joey, attraverso i duri scenari della guerra, cambierà e ispirerà le vite di tutti coloro che incontrerà sul suo cammino, la cavalleria britannica, i soldati tedeschi, un contadino francese e sua nipote, prima che la storia raggiunga il culmine dell’emozione nel mezzo della Terra di Nessuno.
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Quando sua moglie Elizabeth resta gravemente ferita in seguito ad un incidente nautico, un ricco proprietario terriero hawaiano, Matt King, trascina con sé le sue due figlie in un viaggio da Oahu a Kauai per mettersi alla ricerca di Brian Speer, l’agente di borsa con la quale Liz aveva una relazione prima della tragedia.


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Libano. Sulla strada che porta al cimitero del villaggio, una processione di donne vestite di nero affronta il calore del sole, stringono a sé le foto dei loro mariti, padri o figli. Alcune indossano il velo, altre portano un crocifisso, ma tutte condividono lo stesso lutto, conseguenza di una guerra funesta e inutile. Giunto all’ingresso del cimitero, il corteo si divide in due: uno musulmano, uno cristiano.

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Nella speranza di essere incoronati campioni del mondo, tre dance crew internazionali si sfidano tra loro e con il loro passato, portando in scena una nuova esplosiva fusione di stili di ballo. 3 crew di ballerini si contenderanno il titolo di Campioni del Mondo alla BEAT THE WORLD competition di Detroit. I Fusion sono una crew delle strade di Windsor, città dell’Ontario sulle rive del fiume Detroit, immediatamente a sud dell’omonima città statunitense. Con la gara che si terrà a pochi passi dal loro territorio, il capo della crew Yuson vuole la vittoria a tutti i costi e inventa un nuovo stile di ballo che è un misto tra hip hop e parkour. La fidanzata di lunga data di Yuson, Maya, è stufa di arrivare sempre seconda nella sua vita e decide di inseguire i suoi sogni da sola. Yuson quindi non deve solo eccellere per la sua crew, ma deve vincere per dimostrare il suo valore a se stesso e alla sua donna. I rivali principali di Yuson sono i vincitori dell’anno precedente, i tedeschi Flying Steps, guidati da Eric, un ballerino arrogante e sicuro di sé. Eric ferisce Yuson sul piano personale corteggiando intenzionalmente la sua donna durante la festa che gli organizzatori della manifestazione tengono per le crew in un locale di Detroit. Olivia è una ballerina dei Revolution, la crew più bollente del Brasile. La ragazza spera che una vittoria al concorso internazionale la aiuti a sfuggire alla vita difficile che conduce a Rio. Ma Carlos, il capo della crew, perde i soldi per il viaggio e, dando prova di estrema ingenuità, chiede un prestito a uno strozzino, un prestito che potrà ripagare solo se vince la gara. Le tre crew si confrontano con alcuni dei migliori ballerini del mondo, ma la strada che li condurrà a scontrarsi nella famosa gara internazionale sarà lunga, faticosa e piena di difficoltà. Nel duello finale per diventare campioni scopriranno che non sono in gioco solo speranze e sogni ma anche le loro stesse vite.


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L’amore che resta (2011)



Annabel Cotton è una bella e dolce malata terminale di cancro che ama intensamente la vita e il mondo della natura. Enoch Brae è un ragazzo che si è isolato dal mondo da quando ha perso i genitori in un incidente. Quando i due si incontrano a una cerimonia funebre, scoprono di condividere molto nella loro personale esperienza del mondo. Per Enoch, comprende il suo miglior amico, Hiroshi, fantasma di un pilota kamikaze giapponese. Per Annabel, la sconfinata ammirazione per Charles Darwin e l’interesse per come vivono le altre creature. Quando Enoch scopre che ad Annabel resta poco da vivere, si offre di aiutarla ad affrontare gli ultimi giorni con irriverente abbandono, sfidando il destino, la tradizione e la morte stessa.

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