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sabato 26 novembre 2011

Real Steel (2011)



In un futuro non troppo lontano il pugilato non è più una questione umana, a combattere sono dei robot manovrati dai loro tecnici. Com risultato gli incontri sono molto più efferati e di successo. Un ex-pugile caduto in disgrazia, e ora condannato a far combattere robot scassati in incontri di bassa lega, viene forzatamente riconciliato con il figlio di 11 anni dopo la morte della madre che lo aveva in affido. Con lui troverà e rimetterà in sesto un modello vecchissimo di robot-pugile che si rivelerà un'arma formidabile per farsi strada nel mondo della boxe robotica e per riunire padre e figlio alla luce di una passione comune.
Più che aver adattato "Steel" (racconto di Matheson già diventato un episodio della serie classica di Ai confini della realtà) sembra che Shawn Levy e il team di Real steel abbiano voluto cavalcare la moda dei robottoni al cinema, utilizzando il nome di Matheson come investitura intellettuale. Perchè dei temi e della storia del pugile che si finge macchina in un futuro distopico c'è proprio poco in questo film, che invece ha tutto il sapore dei prodotti disneyani (anche se la casa di Topolino non ha prodotto ma solo distribuito).
Con un'ambientazione molto più radicata nell'America profonda (fiere di paese, camion, Texas, covoni di fieno...), una tematica che alla filosofia sostituisce i valori familiari e la volontà di raccontare una storia poco originale di seconde occasioni e trionfi sportivi che coincidono con riconciliazioni umane, Real steel riesce comunque ad essere uno degli esempi più solidi di una categoria solitamente deludente come quella del "cinema per famiglie".
Inutile cercare le asperità, le implicazioni umane e le metafore dirette richiamate dall'idea di una società che mette dei robot di forma umanoide a combattere sul ring fino alla mutilazione per il sollazzo del pubblico, Real steel pensa ad altro. In questo senso funziona molto il rapporto a due padre/figlio tra Hugh Jackman e Dakota Goyo, che singolarmente non brillano ma insieme riescono a dar vita a un gioco di sguardi, speranze e battibecchi degno di una sofisticata commedia sentimentale.
Il vero salto qualitativo il film però lo fa quando decide di immaginare i suoi incontri tra robot tanto come evoluzione del pugilato, quanto come evoluzione dei videogiochi. Senza cedere nulla alla sofisticazione o a ragionamenti troppo contorti, Levy costruisce la sua storia di riscossa dando per scontata una realtà, quella dell'intrattenimento videoludico come disciplina della mente, arte raffinata di cuore e volontà e campo di gioco dotato di pari dignità rispetto allo sport.
In questo modo, oscillando tra l'odissea familiare di Over the top, l'incontro finale di quasi tutti i Rocky (un avversario russo, la resistenza durante l'incontro per esplodere alla fine, il nome urlato dopo il gong) e suggestioni da altro cinema per l'infanzia (il robot protagonista ha le fattezze del Gigante di ferro di Brad Bird), il film raggiunge più di quanto non sembri essersi prefisso e il suo "vero acciaio" riesce addirittura a commuovere, anche quando è stretto tra product placement e ammiccamenti ruffiani.


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